Il rapporto Desi racconta il rapporto dei paesi Ue con le nuove tecnologie
Facciamo una pausa dalla narrazione degli attori in gioco nella partita dell’innovazione e andiamo a leggere un documento che, come ogni anno, racconta lo stato digitale dei paesi dell’UE. Il rapporto in questione si chiama DESI (Digital Economy and Society Index) ed è incentrato su un indice composto da più voci: connettività, capitale umano, uso dei servizi di Internet da parte dei cittadini, l’integrazione e lo sviluppo delle tecnologie per il business, la digitalizzazione dei servizi pubblici.
L’UE con questo rapporto di ricerca va appunto ad analizzare lo stato di avanzamento tecnologico dei paesi dell’UE. E per l’Italia, come spesso accade nelle classifiche europee, sono dolori: il nostro Paese si presenta, infatti, nelle ultimissime posizioni della classifica, lasciandosi dietro solo Bulgaria, Romania e Grecia.
Andando ad osservare la sezione legata a capitale umano e competenze digitali (digital skills), il dato risulta ancora più sconcertante, poichè la classifica ci vede all’ultimo posto tra i paese europei.
Nonostante in Europa il numero di persone con competenze digitali di base sia cresciuto di circa il 3% negli ultimi 5 anni (passando dal 55% al 58%), risulta ancora molto difficile reclutare sul mercato del lavoro specialisti delle cosiddette ICT (Information and Communication Technology). Forte è, inoltre, lo squilibrio di genere all’interno di questo settore, in quanto soltanto un esperto in ICT su sei è donna. Nel complesso Finlandia, Svezia ed Estonia sono le più avanzate, mentre le ultime tre posizioni sono ricoperte da Bulgaria, Romania e appunto l’Italia a chiudere.
Senza entrare troppo nel dettaglio e analizzare tutti le altre sottocategorie, si può comprendere quanto in Italia la mancanza di una capitale umano formato al digitale sia il vero problema da colmare. L’emergenza che stiamo ancora vivendo ha accelerato l’esigenza di gestire e utilizzare il digitale in ogni sfera del quotidiano, dal lavoro alle relazioni sociali, probabilmente ha reso evidente le difficoltà che abbiamo nel comprendere e gestire tecnologie anche di base.
Le digital skills sono necessarie per i giovani per essere credibili nel mercato del lavoro, ma anche per coloro che devono rimettersi in gioco. In Italia, però, il percorso da fare è ancora lungo e necessita del contributo di tutti gli attori coinvolti, a partire dal sistema formativo (universitario e professionale). E’, quindi, necessario che l’insegnamento delle competenze digitali inizi ad assumere un ruolo di primissimo piano in tutti percorsi formativi (sia di stampo umanistico che scientifico) uscendo dalla marginalità nella quale è stato relegato da troppo tempo.
Saremo davvero capaci di questo salto di qualità?
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