Articolo pubblicato sulle pagine del Corriere Fiorentino e raccontato in radio nella rubrica Lapostrofo
Il Corriere Fiorentino ha squarciato il velo. Il dibattito sul futuro dell’ateneo fiorentino lanciato dall’economista Lorenzo Bini Smaghi è tabù che andava infranto. I ranking internazionali che vedono l’Università italiana in una posizione di (poca) aurea mediocritas rispetto ad atenei di respiro internazionale non devono essere un punto di vergogna. Ma una base di partenza per elaborare strategie.
La parola d’ordine deve essere ecosistema. Un habitat unico con l’obiettivo di rilanciare il nostro territorio metropolitano e farlo diventare un distretto «think thank» che sia calamita per cervelli e investitori. Ma cosa ci manca per farlo e competere ad armi pari con l’Europa? Prima di tutto una misura cristallina di quanto siamo competitivi.
Il team reteSviluppo – Iris Ricerche ha messo a punto un Super Indice che si pone l’obiettivo di misurare sinteticamente o separatamente Innovatività e Competenza delle regioni europee. Due parole che l’investitore (senza peli sulla lingua) legge come: «fare profitto e possibilità di costruire lavoro».
Ebbene, su 240 regioni analizzate, la prima italiana nella classifica del Super Indice è il Piemonte (135esima posizione), la Toscana si posiziona 186esima. Guardiamo adesso solo alla componente Competenza del Super Indice (costruito a partire dai dati Eurostat relativi alla popolazione con diploma di educazione terziaria, laurea e formazione avanzata, percentuale di laureati tra gli attivi, tasso di partecipazione ad attività formative o educative).
Qui scopriamo che la cattiva performance delle regioni italiane è da associare alle gravi carenze registrate in termini di capitale umano. Per Competenza la prima regione italiana che incontriamo nella classifica delle regioni d’Europa è il Lazio, in 175esima posizione, mentre la Toscana è 199esima. Troppo in basso. I dati sono impietosi e servono come strumento di diagnosi: il peccato originale del nostro sistema produttivo è la mancanza di una forza lavoro qualificata e altamente formata.
Il ritardo accumulato è forse fra i più duri da colmare e si traduce in un gap culturale che è diventato parte del nostro Dna vietandoci di aprirsi al nuovo, al non sperimentato. E allora qual è il primo passo da fare? Conoscersi e fare una doccia gelata di umiltà. La crescita del nostro capitale umano passa per forza dalle università e dai centri di alta formazione, dalla loro capacità di reperire investimenti e dalla risorse pubbliche investite nella ricerca. In vista delle elezioni di giugno siamo fiduciosi che il dibattito sarà fondato sopratutto sui piani degli aspiranti rettori costruiti pezzo dopo pezzo intorno a formazione, innovazione e rapporti con il mondo del lavoro. Piani concreti. Come i numeri che ci indicano quali finora sono state le nostre debolezze.
Intervento sul Corriere della Sera – Corriere Fiorentino del 31 Gennaio 2015
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