A quanto pare Google ha brevettato una colla da applicare sui veicoli per ridurre i rischi di vita dei pedoni che venissero colpiti da un’auto fuori controllo – il mastice posto sulla carrozzeria dovrebbe in particolare assicurare il pedone colpito al cofano dell’auto per impedire che il malcapitato debba sopportare ulteriori urti. L’azienda californiana, inoltre, sperimenta da tempo la propria auto senza conducente per eliminare definitivamente le cause di incidenti stradali di natura umana. La Google Car, nonostante l’ironia di cui viene fatta oggetto per forme, dimensioni e andatura, ha percorso fin qui oltre 1 milione e seicentomila chilometri lungo le strade californiane, provocando un unico leggero incidente. Trattandosi solo di un modello sperimentale, non possiamo non sentirci autorizzati a sognare un futuro di auto senza conducenti molto più vicino di quel che si creda.
In un certo senso, la ricerca delle aziende dell’high-tech sembra orientata decisamente verso il tentativo di eliminare ogni imprevisto che possa causare una morte accidentale e di rendere la vita degli esseri umani sempre più prevedibile e programmabile, stiracchiandone la durata su archi di tempo molto estesi. E proprio i magnati della Silicon Valley offrono le prime e più dirette testimonianze di una tale sensibilità. In un articolo del marzo scorso, apparso in un inserto de La Stampa, si spiegava a proposito che lo scopo dei miliardari di oggi è quello di sconfiggere la morte. Gli esempi citati spaziavano da chi, come il cofondatore di PayPal, pianifica di vivere almeno fino a 120 anni, fino a chi, come il capo di Oracle Larry Ellison, ritiene incomprensibile l’idea stessa della propria morte. Ma accanto a dichiarazioni che potrebbero sembrare bizzarre e stralunate, in quell’articolo si citavano anche gli ingenti investimenti fatti dai suddetti miliardari per studiare il modo di rendersi irreperibili al tristo mietitore. Tanto per dire, il fondatore di Google Sergey Brin si è messo in testa l’idea di curare la morte e a tal proposito ha reso disponibili per il solo 2016 circa 425 milioni di dollari da investire in ricerca e progetti indirizzati alla lotta all’invecchiamento.
Ad occhi profani potrebbe sembrare che l’idea di sconfiggere la morte sia puro vaneggiamento causato da deliri di onnipotenza, ma l’argomento ha un qualche fondamento empirico, a cominciare dalla riproduzione di organi e tessuti grazie alle staminali – e di recente anche attraverso la stampa 3D -, fino ad arrivare agli studi condotti sul presunto gene dell’invecchiamento o sulle proteine che ringiovaniscono il sangue (per ora solo quello dei topi). Gli scienziati dicono che il tempo in cui il corpo umano potrà essere trattato alla stregua di una qualunque altra macchina, riparabile con pezzi di ricambio e sapiente manodopera, è sempre più vicino. Di questo passo la coppia concettuale vita/morte avrà bisogno di essere ridefinita, e con essa andranno a farsi benedire tutte le discettazioni sul senso dell’esistenza terrena: quando (e se) la vita sarà eterna, e non solo un fuggevole passaggio, non ci sarà più ragione di porsi le solite domande. Siamo sicuri che altri interrogativi, allora, animeranno i cervelli secolari e millenari dei filosofi, ma per intanto non ci rimane che accontentarci dell’allungamento già considerevole dell’aspettativa di vita di cui possiamo usufruire oggi, e nell’attesa che una nuova esistenza disegni una nuova etica, vogliamo dedicare questa puntata a chi la propria vita l’ha vissuta sempre piena, non abbandonando mai il sigaro anche davanti alla malattia e mettendo sempre il proprio corpo e la propria testa al sevizio di una causa.
Ciao Marco.
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