Ai giorni nostri, quando si parla di innovazione, il termine di paragone a cui tutto viene commisurato è la Silicon Valley: lì hanno sede le società più avanzate e dinamiche del comparto hi-tech; lì vengono plasmati i nuovi modi in cui la tecnologia sta cambiando le nostre vite. Si può dire senza tema d’essere smentiti che il modello californiano, diventato vero e proprio faro dell’innovazione nel fare impresa, abbia assunto negli ultimi anni sempre più le fattezze di un dogma.
Si capirà allora la mia sorpresa quando sotto gli occhi mi è capitato un articolo apparso sulla Harvard Business Review intitolato ‘La Firenze del Rinascimento è un modello di sviluppo migliore rispetto alla Silicon Valley’. Silenziata sul nascere la decerebrata fanfara di autocompiacimento, mi sono messo a leggere il pezzo che, detto in breve, ha degli spunti interessanti. La tesi di fondo è molto semplice: il modello di sviluppo californiano è ancora troppo giovane e dunque acerbo per essere valutato, mentre quello che è stato motore propulsore di uno dei periodi storici più celebrati di sempre ha dato prova della propria affidabilità e della propria capacità di produrre risultati su un lungo arco di tempo.
Questa considerazione è affiancata da tutta una serie di altri aspetti che certificano il maggiore dinamismo del modello fiorentino, ovvero: il patrocinio offerto a sostegno dei giovani promettenti; l’importanza di mentori e guide esperte per i talenti in erba; la fiducia concessa in maniera maggiore a chi dimostra un certo potenziale rispetto a chi ha una certa esperienza; la capacità di convertire anche gli eventi più negativi in qualcosa di innovativo; l’incoraggiamento alla (sana) competizione; l’importanza di non fermarsi mai a compiacersi dei traguardi raggiunti, per quanto importanti, ma di ricercare sempre nuove ispirazioni e di stimolare la formazione di idee originali.
Sarà dunque il caso di smetterla di guardare oltreoceano? Sarà meglio indirizzare verso noi stessi lo sforzo di apprendere come si fa a creare un ambiente innovativo? Il ragionamento potrebbe essere concluso a questa maniera. D’altronde, proprio chi ci fa da riferimento in questo campo sostiene che siamo depositari di un know-how secolare su come si innovi e si permetta al talento di esprimersi.
Qualche considerazione, a questo punto, appare però necessaria. Innanzitutto mi pare sterile la ricerca di UN modello a cui ispirarsi, mentre credo sia preferibile combinare sincreticamente soluzioni già sperimentate altrove con idee e paradigmi inediti o provenienti dalla tradizione e dal presente locali. In secondo luogo, per quanto possa sembrare in contraddizione con quanto detto la scorsa settimana, sono dell’idea che gli ultimi 25-30 anni di Silicon Valley abbiano prodotto dei cambiamenti da tenere in altissima considerazione mentre, per quanto ancora si possano trarre importanti lezioni dal Rinascimento, questo è piuttosto un unicum storico e non qualcosa di meramente riproducibile.
In effetti l’articolo da cui ho tratto spunto a riguardo mi pare viziato nella propria argomentazione almeno per un rispetto, ovvero in quanto considera implicitamente come fattore principale del modello che ha prodotto tanti inestimabili tesori d’arte e cultura nella Firenze di mezzo millennio fa cinque secoli fa un bene che nasce del tutto spontaneo, e che al momento non siamo capaci di generare in vitro: il talento.
Per questo dalla prossima, e per qualche settimana a seguire, cercherò di introdurre alcuni concetti che la teoria economica e sociale hanno elaborato a partire dal modello Silicon Valley, ovvero un punto di riferimento ineludibile per capire quel che succede oggi nel mondo, sebbene non un modello a cui rifarsi acriticamente, negando le proprie condizioni in primis culturali e poi economiche e sociali.
Il link all’articolo incriminato.
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